Il nostro arrivo a Homs corrisponde ad un’importante intesa tra Governo e forze ribelli. Raggiungiamo infatti la città proprio nelle ore in cui i gruppi armati e le corrispettive famiglie lasciano a bordo di decine di autobus questa città che per anni è stata un immenso campo di battaglia e dove dall’inizio del conflitto, secondo The Center for Documenting Violations in Syria, sono morte più di 1700 persone. Il quartiere di Al-Waer, ultima roccaforte in mano ai terroristi, si sta lentamente svuotando dei suoi “abitanti”, in partenza per altre destinazioni controllate da Al-Nusra, Isis e Atba Allah. Proprio il giorno prima del nostro arrivo un’autobomba è esplosa in città causando la morte di decine di persone. Attacco rivendicato dall’Isis, che probabilmente non ha buttato giù l’accordo siglato per un cessate il fuoco.
Ma se da una parte si guarda al futuro, ad una città libera dal terrore delle esplosioni quotidiane, dall’altra non è possibile ancora liberarsi dal passato. Il centro storico di Homs è uno dei tanti simboli della follia di questo conflitto.
Un seguito infinito di palazzi storici completamente distrutti, le cui macerie bloccano strade e passaggi. Il vecchio mercato, una tempo non lontano una importante attrazione turistica, oggi è un deserto abitato da spiriti. I negozi, uno dietro quell’altro, sono stati dati alle fiamme o imbrattati con le sigle dei gruppi che hanno controllato l’area.
Come accade spesso in Siria è la desolazione ad accoglierci, perché l’inquietante silenzio che regna nelle terre calpestate dal male della guerra rimane nell’aria, per terra, tra le pareti e difficilmente si allontana. Il dolore si fa plastico nei negozi occupati dai terroristi e convertiti in improvvisate stanze delle torture: catene e cappi imbrattati ancora di sangue testimoniano il dolore di un passato recente.
Solo la speranza può fare riemergere queste terre, perché le persone e non le cose fanno la differenza. Luogo comune in occidente, ma realtà tangibile da queste parti. Il quartiere cristiano di Homs è la prova che ci si può sempre rialzare, anche in mezzo alle macerie. Persone per strada sorridenti, poche, pochissime, ma presenti. Una chiesa nonostante tutto è rimasta quasi sempre aperta. Ferita dai mortai, colpita da proiettili sulla facciata, bruciata al suo interno, ma ancora aperta. Simbolo non solo religioso, ma di speranza e di comunità. Un albero di natale e un presepe fanno da veglia davanti all’entrata.
Il parroco per motivi di sicurezza preferisce non parlare davanti alla telecamera, ma ci porta a vedere quello che rimane di alcune parti della chiesa: le fiamme appiccate dai terroristi hanno arrecato numerosissimi danni. Affreschi e icone perduti per sempre oggi sono stati sostituiti da ristampe. A Homs come a Ma’lula il terrorismo islamico non ha perso l’occasione per ricordare ai cristiani che da queste parti non sono i benvenuti. L’importante però, come ci ripete il parroco “E’ mantenere la fiducia e la speranza nonostante tutto, sempre e comunque…”