La fuga da Mosul, la salvezza in Kurdistan. Tra i profughi iracheni di Erbil, il racconto di mons. Cavina: “Il mondo non conosce questo martirio”.
Nel mondo non si conosce il martirio che la chiesa in Iraq sta vivendo”, dice al Foglio mons. Francesco Cavina, vescovo di Carpi, che lo scorso aprile ha compiuto un viaggio nel Kurdistan iracheno, raccogliendo in un diario le impressioni, i dialoghi, gli incontri avuti in quei quattro giorni che – ammette – hanno lasciato tracce profonde: “Riconosco che ho ricevuto un dono molto più grande di quello che ho portato; dono che si esprime nella dignità con cui questi fratelli vivono la loro condizione”.
E’ impressionante, spiega il presule, vedere come queste persone “sono grate per tutto quello che ricevono d’aiuto e grati a Dio per aver conservato la loro vita. Ma ancor di più per aver conservato la fede per la quale sono stati disposti a rinunciare a tutto pur di non perdere il vero tesoro della vita che è Cristo e la propria appartenenza al suo corpo mistico, che è la chiesa”. La situazione sul terreno è drammatica, l’appello costante è a non essere dimenticati, a non essere lasciati soli.