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Sangue sul ritiro degli Usa dalla Siria. Morti quattro americani in un attentato!
Sangue sul ritiro degli Usa dalla Siria. Morti quattro americani in un attentato!

Due militari e due civili tra le 21 vittime di un kamikaze. L’attacco rivendicato dall’Isis.

 

Almeno quattro americani rimasti uccisi in un violento attentato kamikaze a Manbij, nella Siria Nord-occidentale, rivendicato da militanti dello Stato islamico. Un attacco kamikaze avvenuto nel ristorante «I principi» (al Umarà) nel centro della città che sorge tra Aleppo e l’Eufrate, e che ha causato la morte di almeno 21 persone, gran parte delle quali inermi civili che si trovavano all’interno o a ridosso del locale.

 

Le drammatiche immagini di un uomo che si fa esplodere al passaggio dei soldati Usa, riprese in video amatoriale, hanno fatto il giro del mondo accompagnate da condanne, parole di sdegno e interrogativi sul futuro del Paese. In particolare in vista del ritiro delle forze americane deciso da Donald Trump. Probabilmente l’attacco è anche una risposta alle parole del presidente Usa che aveva giustificato il ritiro delle truppe perché l’Isis era stata «ampiamente sconfitta».

 

Ed erano destinati, probabilmente, a tornare presto in patria i militari rimasti assassinati ieri, cinque le vittime Usa secondo quanto riferito in serata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «In base alle nostre informazioni, cinque cittadini Usa sono stati uccisi nell’attacco terroristico che ha fatto 21 morti», ha dichiarato il leader di Ankara, innalzando così il bilancio diramato dai media panarabi. È uno degli attacchi più gravi attuato contro i soldati statunitensi in Siria da parte dello Stato islamico, la rivendicazione affidata all’agenzia Amaq, braccio mediatico dell’Isis, spiega che l’attentato è stato condotto da un kamikaze «con una cintura esplosiva». Sulla vicenda è stato informato il presidente Trump, ma per adesso non sembrano esserci frenate o ripensamenti da parte della Casa Bianca sull’annunciato e controverso ritiro dei 2.000 militari Usa dispiegati da quattro anni in Siria per combattere l’Isis e presenti soprattutto nel Nord-Ovest del Paese a vasta maggioranza curda. A Manbij è invece di stanza un piccolo contingente, che appoggia il Consiglio e le forze di autodifesa locali. La città è stata strappata alle bandiere nere dai curdi dello Ypg (le forze di mobilitazione popolare), inquadrati nelle Forze democratiche siriane, nell’estate del 2016, dopo essere stata governata per oltre due anni dai jihadisti.

 

La Turchia chiede però che i curdi si ritirino a Est dell’Eufrate e vuole prendere il controllo della città, come ha già fatto nelle vicine Jarabulus e Al-Bab. Le sorti della città sono pertanto intimamente legate al ritiro americano: un eventuale ripensamento di Trump «sarebbe una vittoria per i terroristi – afferma Erdogan -. Continueremo a colpire l’Isis, perché vogliamo farlo sparire da questi territori».

 

Il timore di molti è che una volta uscito di scena il principale alleato delle forze Ypg, ovvero gli Usa, Ankara potrebbe scatenare un’offensiva proprio contro di loro, considerate da Erdogan l’emanazione siriana di quegli stessi curdi del Pkk che in Turchia tratta come terroristi.

 

(Francesco Semprini, LaStampa, 17/01/2019)
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