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Pakistan. La storia di Binish Paul, gettata da un palazzo perché non ha voluto convertirsi all’islam!
Pakistan. La storia di Binish Paul, gettata da un palazzo perché non ha voluto convertirsi all’islam!

Il musulmano Tahir ha cercato di uccidere la cristiana che si è rifiutata di sposarlo. Intervista all’avvocato che rischia la vita per difendere la giovane: «Hanno minacciato di morte la famiglia, corrotto polizia e medici ma non ci facciamo intimidire».

 

Binish Paul non potrà più camminare. La studentessa cristiana di 18 anni di Karachi, la città più popolosa del Pakistan e la seconda città più popolosa al mondo, è stata infatti attirata al secondo piano di un palazzo da un amico musulmano, Tahir Abbas, e gettata giù. Ora si trova in ospedale, è viva per miracolo, ma ha subito fratture alle gambe e alla spina dorsale. E tutto perché si era rifiutata di sposarlo e di convertirsi all’islam.

 

«NON VOLEVA CONVERTIRSI». Il tentato omicidio è avvenuto il 6 agosto, ma i media pakistani hanno cominciato a parlare del caso solo intorno al 20 del mese. «Tahir era un suo carissimo amico e le aveva chiesto di sposarlo, ma lei non voleva convertirsi all’islam e si è rifiutata. Lui allora ha chiesto anche alla sua famiglia, da tempo le faceva pressioni, che però ha risposto allo stesso modo e così ha deciso di vendicarsi». A raccontare il caso a tempi.it è la cristiana Tabassum Yousaf, avvocato presso l’Alta corte che si è presa in carico gratuitamente la difesa della giovane.

 

MINACCE DI MORTE. Quello che è successo dopo il tentato omicidio ha dell’incredibile e aiuta a far luce sullo stato di persecuzione e discriminazione al quale sono soggetti i cristiani nella Repubblica islamica. Subito dopo il folle gesto di Tahir, infatti, la sua famiglia, appoggiata da partiti politici e dalla comunità islamica locale, è andata a trovare i genitori di Binish Paul intimandogli di non perseguire legalmente il figlio. «Li hanno minacciati di morte e di accusarli di blasfemia», spiega Yousaf.

 

BLASFEMIA. Il tema è serissimo: quando una persona viene accusata di blasfemia in Pakistan entra infatti in un vero e proprio girone infernale, come il caso di Asia Bibi dimostra. Oltre a rischiare la pena di morte, il soggetto accusato viene perseguitato dall’intera comunità musulmana e rischia, prima ancora che inizi il processo, di essere linciato o ucciso dagli estremisti islamici.

 

POLIZIA COMPLICE. La famiglia non si è fatta intimidire e ha cercato di sporgere denuncia alla stazione di polizia, che però si è rifiutata di accogliere la domanda proponendo invece di trovare un accomodamento. «Non hanno voluto farsi carico della denuncia, hanno consigliato di lasciar perdere. Questo purtroppo è un evento molto comune in Pakistan», prosegue l’avvocato, che ha scelto di «aiutare Binish Paul senza chiedere alcun compenso perché so quante famiglie cristiane nel mio paese si trovano nella stessa situazione».

 

MEDICI CORROTTI. Yousaf ha innanzitutto chiesto all’ospedale di consegnarle un referto medico dei danni fisici subiti dalla sua assistita, ma i dottori si negano: «Mi hanno detto che il suo medico curante non c’è più, non vogliono rilasciarmi i certificati. Neanche alla famiglia vogliono darlo. Cercano delle scuse per non farlo, ma la verità è che sono stati già corrotti» dai musulmani.

 

IL CORAGGIO DI YOUSAF. Qualcosa però si è mosso. Yousaf ha sporto denuncia direttamente al tribunale e così il 24 agosto Tahir, dopo un primo periodo di latitanza, si trova ora in custodia cautelare. Anche l’ospedale è stato costretto a consegnare i referti medici. «Ma questo non ci basta», aggiunge Yousaf, «Tahir deve saldare il suo conto con la giustizia per quello che ha fatto. Binish Paul purtroppo sta ancora molto male ed è depressa». L’impegno dell’avvocato è una scelta per nulla scontata: «Ho paura, so che cosa potrebbe capitarmi, sono una mamma, ho due figli, ma credo in Gesù Cristo e voglio aiutare queste persone perché so che se non lo faccio le cose non cambieranno mai in Pakistan».

 

«AIUTATECI». Yousaf è fiduciosa che «la giustizia farà il suo corso» e rivolge un appello ai media occidentali: «Grazie che vi occupate di questo caso. Per noi è fondamentale che la voce dei cristiani perseguitati come Binish Paul sia ascoltata anche a livello internazionale. Questo infatti ci permette di avere più visibilità e più chance di successo. Solo se la giustizia lavorerà come deve, rompendo il clima di impunità, in futuro qualcuno ci penserà due volte prima di compiere un altro gesto di questo tipo».

 

(Leone Grotti, Tempi, 31/08/2018)
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