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«Noi, cattolici pakistani, segregati nei ghetti»!
«Noi, cattolici pakistani, segregati nei ghetti»!

La discriminazione operata dai musulmani combinata con il sistema castale indiano condanna i cattolici pakistani a una vita di miseria ed emarginazione. La vita quotidiana è fatta di violenze subite, attentati, prevaricazioni, ma ogni domenica le chiese sono stracolme di fedeli. Viaggio nei ghetti di Karachi, dove i cattolici, pur vivendo nella paura e nella sofferenza, testimoniano orgogliosi la propria fede.

 

Non c’è soltanto Asia Bibi, e la legge antiblasfemia non è l’unica fonte di sofferenza per i cristiani del Pakistan. Visitando nei giorni scorsi il Paese con una delegazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia, abbiamo avuto modo di conoscere dal vivo la realtà di questa piccola comunità – le stime ufficiali parlano di circa il 2% di cristiani a fronte di un 97% di musulmani – che pur incontrando difficoltà quotidiane conserva una fede incrollabile.

 

Arrivando di buon mattino a Karachi, il nostro primo impatto è con la messa mattutina nella cattedrale di San Patrick, situata nel compound – ben protetto militarmente – dell’arcivescovado. Durante la funzione il canto dei muezzin che invitano alla preghiera sovrasta letteralmente la voce del sacerdote.

 

Non potrebbe esservi immagine più eloquente per descrivere la situazione dei cristiani in Pakistan, che vivono la propria fede all’ombra dei minareti. Ma la loro non è la semplice condizione di minoranza in un Paese musulmano. Perché qui i meccanismi di una società a maggioranza islamica, di per sé discriminanti nei confronti delle minoranze religiose, incontrano il sistema castale indiano che emargina le caste inferiori, cui spesso i cristiani appartengono. Il tutto si traduce in miseria ed emarginazione in un contesto in cui la fede cristiana diviene un marchio a vita.

 

A Karachi, metropoli di oltre 20 milioni di abitanti, molti cristiani abitano in quartieri come quello di Essanagrì, che significa “quartiere di Cristo”. Più di 1000 famiglie cattoliche vivono in case fatiscenti attraversate da una vera e propria fognatura a cielo aperto. Nella piccola scuola elementare St. Mary gli alunni sono costretti a bere l’acqua sporca semplicemente filtrata, ma sono fortunati perché in questo sobborgo molti bambini non vanno neanche a scuola e giocano a piedi nudi nella sporcizia fino a quando non sono costretti ad iniziare a lavorare anche a soli 10 anni.

 

Come molti altri quartieri cristiani, Essanagrì è un vero e proprio ghetto. Ma per i cristiani spesso l’auto-segregazione è una scelta obbligata. «La locale comunità è stata anche costretta a costruire un muro che separa il quartiere dal vicino insediamento musulmano», ci spiega il parroco don Joseph Saleem mostrando dove il muro è stato costruito. «Non è raro che i cristiani vengano attaccati – spiega il sacerdote – Recentemente in questo quartiere ne sono stati uccisi cinque. Quando viviamo così vicino ai quartieri musulmani abbiamo sempre questa paura».

 

Eppure nonostante tutto i cristiani mostrano apertamente e orgogliosamente la propria fede. Su ogni porta è dipinta una croce ben evidente e la domenica la piccola chiesa di Santa Maria – arredata semplicemente con un altare e tanti tappeti – è gremita al punto che si devono chiudere le viuzze attigue dalle quali i fedeli ascoltano la funzione. «Ogni domenica vi sono due messe, ma vi partecipano talmente in tanti che in molti riescono a malapena a sentire le parole del sacerdote. Eppure sono contenti lo stesso».

 

La presenza di una chiesa in un quartiere è essenziale per i cristiani, come ci spiega don Augustine Soares, parroco di San Giuda a Karachi. «Se c’è una chiesa i cristiani sanno che non verranno facilmente cacciati dalle loro case. Per loro è una garanzia». Il sacerdote ci accompagna nella Kuda ki basti, un quartiere che si sta sviluppando nell’area nord della metropoli pachistana, oggi in rapida crescita. In un lotto di terra si spera possa sorgere al più presto la chiesa di San Barnaba, ma per ora la comunità utilizza come cappella una sala parrocchiale all’interno della canonica. La chiesa più vicina è quella di San Giuda che – come abbiamo potuto verificare personalmente – si trova a oltre tre quarti d’ora di macchina da San Barnaba.

 

Don Augustine ci mostra una fila di una decina di case cristiane, ma è difficile non notare tra le strade del quartiere ancora in costruzione i mega poster con la faccia barbuta di Khadim Hussain Rizvi che invitano ad unirsi alle fila del TLP, il partito islamista Tehreek-e-Labbaik Pakistan.

 

La presenza islamica si fa ancor più evidente quando raggiungiamo la parrocchia di San Giuda. In questo quartiere fino a 10-15 anni fa vivevano perlopiù famiglie cattoliche. Ma da quando queste sono andate via, soprattutto per motivi di sicurezza, l’area si è popolata di immigrati afghani. Anche questa chiesa ha avuto la sua dose di persecuzione. Nel 1989 è stata profanata da giovani musulmani, mentre nel 2004 è stata incendiata. Infine nel 2009 nel quartiere, dei talebani hanno attaccato sei abitazioni cristiane, uccidendo il piccolo Irfan Masih, di appena 11 anni.

 

Non è sicuro essere cristiani in Pakistan. E se a degli occhi occidentali scegliere di vivere in ghetti con i propri correligionari può sembrare una mancanza di apertura, per comprendere tale decisione è sufficiente conoscere quanto devono affrontare i cristiani che vivono nei quartieri musulmani.

 

Come il giovane Vikhram John, 25 anni, che nel settembre 2017 si è trasferito assieme alla sua famiglia nel quartiere K.D.A. Mahmoudabad di Karachi. Quella di Vikhram era l’unica famiglia cristiana dell’intero quartiere e non ci è voluto molto prima che fosse presa di mira. «Inizialmente ci dicevano che facevamo troppo rumore quando pregavamo – ci racconta il ragazzo cattolico – poi hanno iniziato a lanciare sassi contro la nostra casa». Le intimidazioni, gli insulti e le angherie si fanno sempre più insistenti. Poi alcuni musulmani minacciano di voler rapire e convertire forzatamente all’islam la sorella di Vikhram, obbligandola a sposare uno di loro. Un destino, quello delle conversioni e dei matrimoni forzati, che ogni anno in Pakistan tocca a oltre mille ragazze cristiane o indù. Il giovane cattolico fronteggia quanti minacciavano sua sorella, ma viene gravemente picchiato al punto da perdere la vista dall’occhio sinistro. «Oggi la famiglia di Vikhram è costretta a nascondersi – riferisce l’avvocatessa cattolica Tabassum Yousaf che assiste il ragazzo – mentre l’uomo arrestato per la sua aggressione è già fuori su cauzione».

 

(Marta Petrosillo, LaNuovabq, 19/02/2019)
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